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LEGALITALIA - Reggio Calabria, 09 luglio 2007 - con Don Luigi Ciotti, fondatore di LIBERA

Un impegno comune per la LEGALITA'

Un particolare ringraziamento ai Dottori Francesco Fiorentino, Marina Baldi, Maura Menaglia, Andrea Nuccitelli e Nello Vitale del Laboratorio GENOMA DI ROMA per il contributo di umanità e competenza scientifica reso alla Verità e alla Giustizia.

www.laboratoriogenoma.it 

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E A VOI, FA SCHIFO?

Quanti sono i nomi di persone uccise dalla mafia che vivono nell’oscurità del dimenticatoio? Molti, moltissimi, troppi! Quante sono le persone che costantemente vivono la paura e la sofferenza che la mafia loro infligge? Molte, moltissime, troppe! E quanti di voi credono che la mafia non le riguardi da vicino? Ancora una volta molti, moltissimi, troppi!

Se pensiamo alla mafia di casa nostra, la ‘ndrangheta, subito immaginiamo questi uomini dediti ai  commerci di sostanze stupefacenti, ai più grandi mercanti di droga in tutto il mondo. Certo, la ‘ndrangheta è principalmente questo, o meglio questi sono i mezzi che portano all’organizzazione i maggiori introiti. Ma la mafia è anche altro. Definirla, risulta difficile, per il semplice fatto che nessuna parola sarebbe abbastanza adatta a descrivere la ripugnanza di una tale organizzazione. Un branco di cani randagi, ma organizzati. Un’organizzazione di uomini inetti che cerca di imporre il  giogo sui liberi  tramite la violenza e la paura. I primi ad aver paura sono loro: loro che non hanno il coraggio di affrontare una situazione con le proprie forze; loro che commissionano gli omicidi; loro che sparano nel buio della notte. Ecco cosa sono: persone che vivono nell’ignoranza e nella paura, che per esorcizzare queste si lasciano andare ad istinti animaleschi. Non mi va di parlare dell’assetto organizzativo della ‘ndrangheta, anche perché fiumi di parole son già stati versati, e finirei col dire cose che ovunque è possibile reperire.

Vi parlerò invece dello strazio di una madre che ha visto “inchiodare alla croce” suo figlio e, differentemente dalla Vergine, non ha potuto tenerlo tra le braccia. Se vi chiedessi chi è Francesco Fortugno, voi cosa mi rispondereste? E se vi chiedesi di parlarmi di Massimiliano Carbone? Non vi affannate a trovar delle adatte scuse, so bene che pochissimi conoscono questo nome. Massimiliano? Morto dopo sei giorni in una sala d’ospedale a seguito di un agguato tenuto il diciassette settembre del 2004. Le sue “colpe”? Aver amato la vita, la sua terra, una donna, e il loro bambino. Giustificazioni? Ovviamente nessuna. Quale cuore umano, e quale mente savia può dire ad una madre “eh, però se l’è cercata”, e ancora “dovevate aspettarvelo da un momento all’altro”? In quale razza di mondo l’amore può essere il preludio per una condanna a morte? Il mondo delle bestie? Neppure: il mondo della mafia.

Massimiliano aveva voluto rimanere nella sua casa, in Calabria, per dare una mano a questa delapidata terra. Aveva però commesso un errore: s’era abbandonato all’amore, peccato per nulla  esecrabile alla sua età, così come in nessun' altra. Aveva amato una donna sposata ad un uomo legato ad una cosca mafiosa. Da questa relazione è nato un bambino, ragione (anche se poco di ragionevole ha) che ha condannato Massimiliano alla morte. La “colpa” di Massimiliano non era stata quella di aver disonorato il marito della donna, né di averlo reso “cornuto”, bensì quella di aver oltraggiato la cosca e di esserne uscito impunito.

Gianluca Buonocore

12 Maggio, 2008

Quei "cento passi" verso verità nascoste - Associazione Metasud in corteo a Soverato per non dimenticare

 Di FRANCESCA CHIRICO  

SOVERATO (CZ) - La foto del figlio, “un ragazzo di Locri”, attaccata al collo. I 44 mesi trascorsi dal suo omicidio caricati sulle spalle. Ma in corteo per le vie di una distratta Soverato - impegnata solo a guardare  sfilare i “Cento passi” della manifestazione antimafia voluta dai ragazzi dell’associazione “Metasud” - Liliana Esposito Carbone non ne sembra piegata, anche se l’ultimo colpo, l’archiviazione del caso, brucia ancora.
“L’ho saputo quattro mesi dopo, dai giornali”. Alla maestra di Locri, però, qualcuno deve aver spiegato che di più, considerate le carte in mano, era difficile fare. “Si rischiava di chiedere il rinvio a giudizio senza avere elementi solidi per arrivare in aula. E così i colpevoli sarebbero finiti assolti”, ragiona pragmaticamente Liliana, per tre anni impegnata a pungolare e raddrizzare indagini “partite tardi e male”. “Perché siamo a Locri, non a Garlasco o Perugia, e da noi il Ris arriva 14 giorni dopo. I nostri morti, evidentemente, sono meno rispettabili e rispettati”.

 Da un punto di vista investigativo, tra le colpe di Massimiliano Carbone, ammazzato a 30 anni di ritorno con il fratello da una partita di calcetto, c’è in primo luogo quella di non essere morto sul colpo. Il fucile caricato a pallettoni che la sera del 17 settembre 2004 sbuca tra il fogliame del giardino e lo centra alla schiena a pochi passi dal portone di casa lo uccide, infatti, dopo sei giorni trascorsi in rianimazione: “Solo in quel momento hanno cominciato a indagare”. La maestra, che ha subito protetto le macchie di sangue sull’asfalto confidando che un giorno potesse servire, non ha bisogno di investigare. Massimiliano ha smesso di respirare da pochi minuti e la madre è infatti già sotto la finestra di una casa di Locri a gridare: “Assassino”. Uno sfogo che davanti ai carabinieri presto si ricompone e ufficializza in denuncia: “Il suo unico peccato è stato l’amore, per una donna sposata e per il figlio avuto da lei”.

Liliana fa nomi e cognomi, ricostruisce situazioni, si espone, infrange la regola del dolore muto che consuma nelle loro case le famiglie dei morti ammazzati calabresi. Batte con i suoi avvocati (tre in tre anni) stanze e corridoi di tribunali e caserme e, per sollecitare l’udito intermittente degli interlocutori, scende in piazza. In catene, con la foto del figlio al collo, in corteo con gli altri volti dolenti della Locride. Chi le si stringe attorno, però, non riesce a farla sentire meno sola quel giorno in cui, a due anni dall’omicidio di Massimiliano, viene aggredita davanti alla tomba del figlio. E non la fa sentire meno sola la visita di Romano Prodi che a Locri, nell’ottobre del 2006, commemora Franco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale assassinato un anno prima a Palazzo Nieddu. All’allora premier la maestra indirizza una lettera solennemente amara.

“Mario Congiusta, padre di Gianluca, ucciso a Siderno 17 mesi fa, la invita a portare un fiore sulle tombe dei nostri figli; sarei d’accordo, se non ritenessi eccessiva pena per lei quella di dare compito al suo portaborse di comprare fiori per i tanti morti ammazzati di Calabria, “terra prediletta”. A me, mamma di Massimiliano Carbone, ucciso due anni e dieci giorni fa a Locri, basterebbe il più piccolo dei suoi pensieri pieni di bonomia. (…) Mario Congiusta, io stessa e tutti quanti attendiamo verità e giustizia, non soltanto promesse, ma concretate nei fatti, portiamo fieri, come la più alta delle onorificenze, la memoria dei nostri figli, i nostri  “onorevoli figli”.

Le perizie, alla fine, le danno ragione. La riesumazione del corpo del figlio e il test del Dna gli consegnano un nipote che dovrebbe esserle affidato insieme con la madre: “L’ho visto una sola volta, infilandomi tra gli spettatori di una recita scolastica. Gli parlerò di suo padre e delle cose belle della vita”.  Ma gli investigatori non riescono a chiudere il cerchio di quell’unica pista investigativa che la vita di Massimilano, incensurato e presidente di una società di servizi ora diretta dal fratello, ha offerto. Come resta ancora senza riscontro il presunto coinvolgimento del clan Cordì nell’esecuzione materiale dell’omicidio con l’obiettivo di lavare l’onta delle corna dalla testa di un’intera famiglia ritenuta vicina alla cosca. Liliana però ne è sicura: “E’ stato un omicidio mafioso”. Poco importa se la ‘ndrangheta ha prestato gli uomini o “solo” la mentalità.

Francesca Chirico

liberainformazione.org

categorie: Notizie Catanzaro

 

 

Carissimi, partecipiamo numerosi!

 Martedì 21 novembre alle ore 18.30 ci sarà a Bovalino una fiaccolata per tenere desta l'attenzione sulla scomparsa di Renato Vettrice, l’onesto laborioso padre di famiglia scomparso dal 13 agosto 2005, lasciando nell’angoscia la moglie Antonella in attesa del piccolo Emanuel, e due figlioletti in tenera età.


Una luce accesa nel buio di una sera di autunno inoltrato è la metafora di una speranza che non si spegne. Tante luci accese diventano segno della volontà di cambiare quanto non è adatto alla crescita dei nostri bambini, dei nostri giovani, della nostra terra.


Venerdì 20 ottobre, sulla tomba del mio Massimiliano, don Luigi Ciotti, il coraggioso sacerdote Presidente di LIBERA, Associazione nazionale contro tutte le forme di violenza, ha ricordato Geremia, che piangeva lacrime di sangue sul sangue dei  figli della sua terra. Ma, richiesto dal Signore su cosa vedesse, rispose: "Vedo un ramo di mandorlo in fiore."

Così facciamo noi della speranza una fortezza, che ci protegga dalla sfida dell’arroganza.

A Locri da domenica inizierà la Settimana per i diritti del bambino e per la legalità; facciamoci carico, e  con impegno coerente, degli orfani bianchi defraudati dell'affetto del loro papà e della serenità dei sogni dei loro teneri anni, e  teniamo accese le nostre fiaccole, fiammelle di coraggio e di solidarietà.

Grazie, restiamo vicini
                       la maestra Liliana
                                       Esposito in  Carbone

DIRITTO ALL'AFFETTO, ALLA SICUREZZA E ALLA LEGALITA'

Bovalino  Niente fiaccolata per la pioggia
Ricordo in chiesa di Renato Vettrice
BOVALINO «Se ognuno fa qualcosa», come ha lasciato scritto don Pino Puglisi, il parroco assassinato dalla mafia 13 anni addietro a Palermo, dovrà essere, d'ora in avanti, il motto di ogni cittadino che voglia vivere nella legalità. Lo ha detto suor Carolina, che di don Puglisi è stata una forte seguace e che oggi dirige il Centro a lui intitolato a Bosco S. Ippolito, la frazione di Bovalino luogo di residenza della famiglia di Renato Vettrice, l'operaio scomparso nel nulla il 13 agosto del 2005 dopo il turno di lavoro in una azienda agricola di S.Ilario.
Per ricordarlo era stata organizzata dal Cids, dalla Civica amministrazione, dalle parrocchie e dal Centro don Puglisi, una fiaccolata. Dopo che il sindaco Francesco Zappavigna e il presidente del Cids Demetrio Costantino hanno reso visita agli anziani genitori di Renato Vettrice, su Bovalino è cominciata una fitta pioggerellina e, quindi, la fiaccolata è stata abolita e l'incontro tra i cittadini, le associazioni ed i sindaci di tanti Comuni intervenuti con i propri gonfaloni, è potuto avvenire in chiesa messa a disposizione da p. Giuseppe Castelli prima delle funzioni serali. Così la chiesa ben presto si è riempita (qualche assenza di troppo è stata sottolineata da Mario Congiusta, padre di Giancarlo ucciso a Siderno a maggio del 2005). Dopo gli interventi di p. Castelli e del sindaco Zappavigna, il presidente Costatino, ha tracciato il profilo della drammatica vicenda. Dopo 15 mesi e otto giorni non c'è stata alcuna notizia. E allora, ha detto Costantino, «noi ribadiamo con forza che è necessario dare impulso alle indagini e vi sia l'impegno non solo della Procura ordinaria ma anche della Dda e che il ministro Amato invii personale con alte capacità professionali e dotato di strumenti adeguati per approfondire le indagini». Dopo l'intervento di suor Carolina, il sindaco di Siderno, Sandro Figliomeni, dopo avere espresso la solidarietà ai familiari di Vettrice, ha sottolineato l'importanza dell'attività del Cids. A parlare di speranza è stata Liliana Esposito Carbone, mamma di Massimiliano ucciso poco più di due anni orsono a Locri, la quale ha pure letto una lettera di Rosanna Scopelliti. Ha espresso solidarietà anche Debora Cartisano, la figlia di Lollò Cartisano, il fotografo bovalinese sequestrato il 22 luglio 1993 e morto nelle mani dei sequestratori.(g.p.)

Gazzetta del Sud (mercoledì 22 novembre 2006)

 

 

Non possiamo non esprimere la nostra solidarieta' ai ragazzi di Lamezia Terme, che vivono, come noi, ogni giorno, il disagio delle ingiustizie e della precarietà. Siamo con VOI.

http://www.lameziaweb.biz/public/default.asp

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

domenica 15 ottobre 2006

NOTA STAMPA
Sciopero della fame di Mario Congiusta.
MARIO CONGIUSTA E GLI ADERENTI ALLO SCIOPERO FAME ACCOLGONO IL MESSAGGIO DEL VESCOVO BREGANTINI

Locri (Rc), 15 ottobre 2006, ore 23.00.
“Fatto nostro il messaggio di Padre Giancarlo Maria Bregantini, Vescovo di Locri-Gerace, ognuno di noi continuerà il proprio sciopero della fame, accompagnandolo, però, ad un momento di riflessione privata nelle nostre famiglie. Domattina, comunque, saremo nuovamente in piazza Tribunale, dove continuerà a sostare il ‘camper dei diritti negati’, affidato simbolicamente agli uomini delle Forze dell’Ordine”.

Mario Congiusta
Gino Manca
Aldo Pecora
Maria Grazia Messineo
Rosanna Scopelliti
Liliana Esposito-Carbone
Antonio Giuseppe Mazzaferro
Martina Raschilla
Francesco Rao
Massimiliano Gullace
Nadia Furnari
Chiara Panetta
Chiara Bruzzese
Emanuela Sorbara
Sacha Nocera

 

 

 

 

 

 

 

 

LA MARCIA DEL SILENZIO